Autore: Erika Silvestri
Milano, Fabbri, 2007
Età di lettura: dai 13 anni
L’autrice del libro aveva 14 anni quando, nel 2000, prese parte a un incontro tenuto nella sua scuola dall’ebreo Terracina. Sopravvissuto.
Dopo l’incontro, Erika gli scrisse una lettera densa di domande, che diede l’avvio a una fitta corrispondenza – di parole, incontri e commovente affetto- in una sorta di reciproca adozione, di cui questo libro dà conto.
«Ho conosciuto Piero quando avevo tredici anni. Qualcosa quel giorno mi ha legata a lui, quando l’ho visto piangere. Io che sapevo piangere. Non saprei dire cosa rappresenta adesso, nella mia vita. Non è mio nonno, anche se gli piace presentarmi come sua nipote adottiva (sono stata io ad adottarlo) non mi è stato dato dal destino, se così vogliamo pensarla, perché non siamo legati da parentela. Non l’ho trovato lì, nella mia vita, ma sono stata io a cercarlo. Sono tutti sulla difensiva, gli uomini di oggi, e hanno mille paure e timori nei confronti degli altri. L’unico punto fermo, nelle loro vite, rimane la famiglia, l’insieme di persone che hanno il loro stesso sangue, e il sangue, dicono, non tradisce. La mia famiglia è piccola e forse per questo è arrivato lui, per allargarla. Lui che la sua l’aveva persa.»
I BAMBINI GIOCANO
di Bertolt Brecht
I bambini giocano alla guerra.
È raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai "pum" e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
È la guerra.
C'è un altro gioco
da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura. |